29 novembre 2006 - 09:55

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Silvia Albano

“Incontri che cambiano il mondo”, questo è il motto di Intercultura, un’associazione senza scopo di lucro che promuove e organizza scambi tra studenti di nazioni diverse, dando loro la possibilità di trascorrere un anno o alcuni mesi a contatto con una nuova cultura. Un’esperienza unica: è incredibile quanto ognuno di noi può crescere e imparare. Ma chi potrebbe aiutarci a capirne il significato meglio di una studentessa che davvero si è tuffata in quest’avventura? Ne parliamo al-lora con Chiara Cefalà, 5a C del liceo “Galilei”, reduce da undici mesi trascorsi in una cittadina del Quebec, nel Canada francofono.

Cosa ti ha spinto a questa decisione?

Dapprima l’esempio di persone a me vicine; poi la curiosità, la voglia di mettermi in gioco, di dimostrare che potevo farcela. Infine l’entusiasmo che mi hanno trasmesso i ragazzi di Intercultura: mi hanno definitivamente convinta.

Come hai vissuto il distacco?

Prima di partire quasi non mi rendevo conto di quello che mi aspettava. L’entusiasmo e la curiosità smorzavano quasi tutti i timori. Una volta là ho passato dei mesi difficili, ma ogni giorno che passava entravo sempre di più a far parte della nuova vita. Alla fine mi sono sentita davvero a casa e ho potuto dirmi: «Ce l’ho fatta».

Com’è stato il rapporto con i ragazzi del posto?

All’inizio mi aspettavo interesse e attenzione da parte degli altri, ma poi ho capito che lì ognuno aveva già la sua vita e che trovare degli amici dipendeva prima di tutto dalla mia capacità di aprirmi. E con il tempo sono riuscita a intrecciare rapporti bellissimi.

Quali esperienze ti sono rimaste dentro?

Qualcosa di magico è stato il ballo della scuola. Proprio come nei film: la sensazione di festa, i vestiti stupendi, la sfilata delle coppie, i festeggiamenti fino al mattino dopo... Mi sono sentita un po’ principessa.

Che ruolo ha avuto per te la famiglia che ti ospitava? Avete in progetto di rivedervi?

C’è stata un’intesa immediata: mi sono inserita molto facilmente, mi hanno aiutata, sostenuta e per me ora sono davvero una seconda famiglia. Mi sono affezionata moltissimo a loro, e così loro a me. L’estate prossima verranno a trovarmi: vogliono visitare l’Italia e vedere i luoghi di cui spesso ho parlato loro.

Che cosa ti è rimasto di questo lungo viaggio?

Certamente un maggior rispetto per le altre culture e per i modi di pensare diversi dal mio. Oltretutto ho potuto conoscere ragazzi di altri stati, anch’essi in Quebec per un anno di studio: andavo a scuola con una ragazza giapponese e due sudamericane.

Mantieni ancora contatti con Intercultura?

Si, voglio mantenere viva la mia esperienza, incoraggiando altri a fare quello che ho fatto io. Ad esempio ora siamo in piena campagna di ricerca di famiglie ospitanti per i programmi bimestrali e semestrali.

 

Proprio così: mentre ogni anno, attraverso Intercultu-ra, dall’Italia partono quasi 1500 ragazzi, altrettanti, daogni parte del mondo, vengono accolti nelle nostre fami-glie, frequentano le nostre scuole, imparano ad amare ilnostro paese. Ospitare un ragazzo straniero è un’occa-sione di crescita e arricchimento per tutti, genitori e figli:si conosce un angolo di mondo e s’instaura un rapportodi reciproco affetto che durerà nel tempo, al di là dei chi-lometri e delle differenze.

(articolo pubblicato su "Il Galileo" di novembre 2006 - "Popolo Cattolico" del 18 novembre 2006)

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