14 giugno 2016 - 16:26

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Gli elaborati di Michela Lardo e Sharon Fera, studentesse della 1a H che risultano tra i cinque vincitori della prima sezione (riservata agli studenti delle classi prime e seconde degli istituti superiori) del concorso organizzato da Anteas Cisl di Treviglio alla memoria del senatore Elio Colleoni "I giovani incontrano gli anziani". L'argomento era "L'Unione fa la forza"

 

Tra le braccia di pochi

Tra le braccia di pochi

di Michela Lardo

Correre, correre all’aria aperta verso il compagno col testimone in mano. Palleggiare, palleggiare sul pavimento e fare canestro. Seguire il ritmo, muovere i piedi in simbiosi e dar vita a una splendida coreografia. Buttare la palla, buttarla nel campo avversario e vincere il set. Fare goal, far "gioco", fare un punto. Perdere, cadere, sbagliare e rialzarsi. Divertirsi, sentirsi libero e al sicuro. Condividere esperienze ed emozioni.

Per quanto ne so io, una ragazzina quattordicenne che vive in una cittadina tra Bergamo e Milano, essere uniti è questo: praticare uno sport di squadra e arrivare alla meta: insieme . Non solo, è condividere esperienze, aiutarsi e rispettarsi a vicenda, cercarsi non solo sul campo ma anche durante le ore di una comune giornata. Essere circondato da persone che stimi e che ti stimano a loro volta credo sia essenziale per ognuno che sta attraversando la mia stessa fase di vita. Qualche anno fa, ai tempi in cui frequentavo la scuola media, sentivo il disperato bisogno di stringere continuamente nuove amicizie, prediligevo quelle di ragazze ritenute "popolari" o semplicemente più apprezzate di me. All’inizio tutto era cosi bello, fin quando crescendo ho capito che per loro non valevo nulla. Più il tempo passava e più mi rifugiavo tra le braccia di pochi, quei pochi che da compagni di classe divennero compagni di vita. Ora sono qui, all’inizio di un nuovo percorso con la consapevolezza di star stringendo una manciata di cuori capaci di farmi sorridere. Sto imparando ad apprezzare, passo dopo passo, me stessa, la mia vita e il piccolo ritaglio di mondo che Qualcuno mi ha dedicato. A volte, problemi che mai avresti immaginato di subire ti colpiscono proprio quando hai appena ottenuto l’equilibrio perfetto in grado di mettere in ordine il casino che stava dominando la tua mente. Certo, il colpo è duro da incassare ma con l’aiuto di persone che stanno superando il tuo stesso ostacolo puoi uscire da questa guerra vittorioso. Ho sempre avuto grandi aspettative riguardo la scuola superiore, in me ardeva un desiderio di riscatto e la speranza di ambientarmi in un posto migliore. Questo piccolo “sogno” si è realizzato, infatti ora condivido le mie giornate con individui fantastici. Non è che ami la scuola, sia chiaro, infatti non adoro particolarmente i pomeriggi passati con la schiena ricurva sui libri, ma sono innamorata dell’atmosfera che si è creata intorno a me. Vi chiederete cosa c’entrino queste ultime parole col triste discorso riguardante le difficoltà che ognuno riscontra nella propria esistenza. Beh, semplicemente volevo far capire quanto sia grata per la costante presenza di alcune persone nella mia vita, infatti è grazie a loro che riesco ad andare avanti. Ci aiutiamo a vicenda, nei momenti più difficili come per esempio qualche brutto rapporto col cibo o qualche grave perdita, dedicandoci allo stesso tempo a problemi più sciocchi come il rifiuto da parte di un ragazzo o altro. Questa, questa è l’amicizia: essere di sostegno l’uno per l’altro qualunque cosa accada e farsi forza a vicenda, crescere insieme.

Tutti noi, che lo vogliamo o meno, facciamo parte di un sistema chiamato Terra, frammentato e diviso da continenti, fiumi, laghi rinchiusi dentro stati, regioni per poi arrivare alle piccole città composte da case e da nuclei familiari. Non sono mai stata incuriosita dal mondo circostante anzi credo che da anni viva in un limbo che separa quello reale da uno più intimo, più personale. Seguo di rado la politica italiana figuriamoci quella estera. Quando navigo tra le varie serie televisive di rado dedico la mia attenzione al telegiornale poiché lo reputo un canale troppo negativo e persino noioso. Qualche settimana fa però mi ha colpito una notizia riguardante l’attentato terroristico svoltosi il 22 marzo a Bruxelles. Protagonista indiscusso sulla scena del crimine è ancora una volta l’Isis, un gruppo di estremisti musulmani a cui piace giocare a interpretare gli angeli della morte. Li ho detestati sin dal loro primo debutto sul mondo perché sono irrispettosi di tutta l’umanità. Era da un po’ che non sentivo parlare di loro, quindi quel dolente racconto mi ha sconvolto la giornata. Mentre con interesse leggevo la cronaca dell’attacco inflitto a ignare persone il primo pensiero che mi è balenato per la mente è stato quanto l’Isis sia simile a un piccolo bambino viziato in cerca di attenzione, infatti dopo che le loro imprese non sono diventate altro che un triste ricordo decidono di ritornare crudelmente sulla bocca di tutti. Il secondo fatto che mi ha provocato fastidio più che disprezzo è stato leggere il numero delle vittime italiane distinto da quello delle altre povere sventurate, alle quali non attribuivano una precisa identità. Mi sono parse ingiuste quelle righe dell’articolo perché ho avuto la sensazione che l’intenzione dell’autore fosse principalmente compatire le anime dei nostri compaesani piuttosto che tutti i defunti. Come se…. Se fossimo solo noi italiani le vittime di questa grande lotta. Forse pensare principalmente a sé stessi è il difetto che caratterizza ogni Stato redendolo incapace di lavorare in squadra. Questo egoistico modo di agire di molti Paesi è emerso anche quando i profughi che hanno invaso il nostro territorio sono diventati sempre più numerosi. La soluzione per molti sarebbe quella di rispedire questi poveretti nella loro patria. Io non sono nessuno per giudicare, ma l’idea che qualcuno è capace di ignorare la richiesta di aiuto di una persona bisognosa mi fa davvero arrabbiare. Immersa nei miei pensieri immagino se la guerra colpisse il mio Paese, quale sarebbe il mio destino. Spero che ognuno di noi si ponga questa domanda e che si immerga nella situazione di questi richiedenti aiuto. Sono abbastanza sicura, che gli stessi animali capaci di chiudere un portone in faccia ai più indifesi sarebbero i primi a darsela a gambe in caso di pericolo e a chiedere una mano anche al più umile degli uomini. Se vogliamo un mondo diverso, dobbiamo prima imparare a mutare il nostro pensiero ed a agire con diplomazia ma soprattutto col cuore.

Sostengo che molti politici a capo dei più grandi stati non siano capaci di svolgere il loro lavoro, dando più importanza a questioni più futili, per esempio i loro grandi yatch privati. Però, se loro non sono delle brave guide non siamo da meno. Infatti siamo costantemente condizionati dall’universo virtuale, dai social network importanti come facebook, ad altri meno rilevanti come Instagram. Post su post umoristici su questi ultimi massacri e fotografie pubblicate con l’espediente di una finta preghiera fornita da un hashtag come #prayforparis solo per guadagnare qualche like. Il momento in cui ho avuto maggiormente una sensazione di ribrezzo nei confronti della nostra vita virtuale è stato quando ho letto le numerose critiche verso Federica Mogherini, poiché aveva pianto durante la conferenza stampa di Bruxelles. Penso che se una persona, uomo o donna che sia, si commuova durante un discorso riguardante simili argomenti non sia poi un problema, infatti in un momento simile è facile sfogare le proprie emozioni ed per me è sbagliato giudicare per un momento di fragilità, per un pianto liberatorio piuttosto che per il discorso proposto. Se in momenti di tale crisi ci affidiamo alla logica del maschio-alfa che non può soffrire perché deve guidare il popolo scegliamo pericolosamente la strada di chi preferisce la bestialità all’umanità. La società intorno a noi si sta sfaldando e quella che era l’unione europea sta diventando un gruppo di stati ammucchiati con in comune solo la moneta e il confine. Credo che se ognuno penserà solo per la propria salvezza i problemi si ingigantiranno e il male avrà il sopravvento … solo se lavoreremo insieme, alla pari, come una squadra, da veri amici e non da semplici colleghi potremo vantarci di vivere lì dove l’uomo ha vissuto magnifiche avventure: nella nostra Europa.

Una squadra destinata alla sconfitta

Una squadra destinata alla sconfitta

di Sharon Fera

“L’unione fa la forza”, un proverbio che fin da bambini ci viene ripetuto e che possiamo sperimentare noi stessi crescendo.

Io ne capisco la veridicità giocando a pallavolo, lo sport che pratico, dove il gioco di squadra è tutto se si vogliono ottenere dei risultati, o a scuola, nei momenti, per esempio, in cui non si riesce a risolvere un’espressione o un qualsiasi altro problema, e ci si aiuta a vicenda per risolvere insieme tutto.

Cresciamo convinti che il mondo funzioni così: convinti che, a maggior ragione di fronte alle difficoltà, le persone si impegnino in una pacifica collaborazione tra loro. Ma non sempre ciò avviene. Nella mia vita di adolescente, le situazioni che ho incontrato in cui era necessaria la cooperazione di più persone, sono state semplici, non di particolare gravità. Nel mondo però esistono problematiche importanti e che spesso sono causa di difficoltà economiche o provocano la morte di migliaia di persone. E’ il caso della guerra, che ormai da qualche decennio affligge i Paesi arabi con il susseguirsi di dittature e movimenti terroristici come quello talebano, ed oggi quello dell’Isis.

Quest’ultimo, che dichiara di voler punire tutti gli infedeli, ha eseguito attentati terroristici anche in Europa, come ben sappiamo, dall’attacco in Francia alla sede di Charlie Hebdo e le stragi del 13 novembre 2015, alle più recenti a Bruxelles: una vera strage di innocenti.

Un numero incredibilmente più grande di vittime si registra proprio nei Paesi in guerra come la Siria, dove a gennaio l’Isis ha provocato 300 morti e sequestrato 400 persone tra donne e bambini.

Impotenti di fronte al dramma della guerra molti tentano la fuga verso Paesi dove essa non c’è e dove si prospettano possibilità di una vita ed un futuro migliore per sé stessi ed i propri figli.

Per vicinanza geografica i viaggi, costosissimi ed effettuati su barconi piccoli e senza una sicurezza, causa essi stessi di ulteriori tragedie, hanno come meta l’Europa, ed in particolare gli sbarchi avvengono sulle coste italiane e greche. Questi sono i Paesi che nonostante la profonda crisi monetaria in corso, la quale causa già problemi interni, continuano ad accogliere gli immigrati.

Ne possiamo avere tutti una testimonianza diretta seguendo il telegiornale, e almeno, per quanto riguarda l’Italia, sappiamo che molte persone si impegnano ad aiutare i rifugiati all’arrivo sulla costa, fornendo loro un riparo e del cibo. Io ho avuto l’opportunità di ascoltare la storia di un ragazzo di soli 17 anni, venuto qui dall’Egitto carico di speranze e volontà. Ha raccontato di essere stato accolto da un gentile signore siciliano e di essere stato da lui assistito fino alla sua successiva partenza per il Nord Italia. Ora è sostenuto da un associazione cattolica di Cremona, che gli fornisce un alloggio da condividere con ragazzi rifugiati come lui ma di diversa nazionalità, e gli permette di frequentare la scuola e fare tirocini per un mestiere, con un supporto economico fino al raggiungimento della maggiore età. Questo ausilio richiede un impegno monetario, che non è semplice da sostenere in un momento di crisi come questo. Ci si aspetterebbe aiuto dagli altri Paesi dell’Unione Europea, ma purtroppo paiono chiudersi a proposte di cooperazioni per risolvere la questione dell’immigrazione.

Questo accade non solo per la “perdita economica” che si subirebbe, ma anche e soprattutto perché si ha paura di ulteriori eventuali attentati. E’ un sentimento pienamente motivato, ma resta corretto solo se non si generalizza “tutti gli islamici sono terroristi” come purtroppo molti erroneamente fanno, inclusi partiti politici che, in quanto tali, hanno larga influenza sulla ragione critica delle persone. Procedendo verso questa direzione, con una mentalità chiusa, non si fa altro che scoraggiare l’integrazione e costruire barriere sociali, come invisibili paraocchi che impediscono di guardare oltre sé stessi e le proprie abitudini. E’ importante invece sapersi relazionare con persone che hanno una cultura diversa e fare di essa un tesoro, specialmente in una realtà volta alla globalizzazione come quella in cui viviamo. Quest’ultima è resa da molti fattori, come la rete internazione e l’avanzata tecnologia, gli efficienti mezzi di trasporto per viaggiare con maggiore facilità. A questo proposito è opportuno citare il Trattato di Schengen, il quale favorisce la libera circolazione degli individui tra i diversi Stati d’Europa, di cui si sta valutando la proposta di annullamento avanzata da alcuni Paesi (Danimarca, Francia, Germania, Austria, Norvegia e Svezia) insieme alla richiesta di incentivazione dei controlli ai confini interni. Se si dissolvesse veramente, l’Unione Europea subirebbe a mio avviso un duro colpo che ne indebolirebbe ulteriormente l’unità, perché già molti Paesi chiudono le frontiere e non fanno nulla, o solo poco, di concreto nei confronti della questione immigrazione.

C'è un accordo con la Turchia per fermare i “flussi migratori”: Ankara vorrebbe che i tre miliardi di euro offerti dell’UE venissero rinnovati ogni anno; Bruxelles invece fa fatica perfino a ragionare in termini di una-tantum. Solo nelle prime settimane di quest’anno è stato registrato un numero di ben 35mila migranti con meta Grecia e Turchia, circa venti volte rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Dei circa 160mila totali che si dovevano trasferire dall’Italia e dalla Grecia, solo poche migliaia migranti sono stati ricollocati, e questo dimostra l’incapacità di collaborazione e di aiuto reciproco che si verifica tra le nazioni dell’UE. Hanno fatto valere le loro ragioni Germania, Austria e Svezia, che da sole sentono il peso del 90% delle richieste d'asilo accusando Atene di non essersi organizzata per fermare e identificare i migranti in arrivo e facendo su essa forti pressioni affinché protegga il confine con la Turchia.

Ci sono idee piccole ma concrete per far fronte al problema, portate avanti da Grecia e Italia: gli hotspot, cioè centri di smistamento per distinguere i profughi dai migranti economici. Altre invece sono ancora allo stato embrionale o sono osteggiate dal blocco dei Paesi Balcanici dell’Est (Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia) i quali infatti si rifiutano categoricamente di accogliere gli immigrati; in Ungheria è stato addirittura posto un filo spinato sui confini.

Altre frontiere continuano ad aprirsi e chiudersi, come quelle francesi che hanno più volte respinto con i loro uomini i migranti, come l’episodio in cui centinaia di profughi si erano “accampati” in protesta sul confine tra Francia e Italia, esattamente a Ventimiglia, poiché veniva impedito loro il transito nel nuovo Stato.

L’Austria ha annunciato da poco la chiusura delle proprie ed ora si parla di bloccare anche il passaggio per il Brennero.

In conclusione, tutti i migranti che sbarcano in Italia e Grecia non hanno, volenti o nolenti, la possibilità di uscirne, se non con grandi difficoltà, e se anche riuscissero non scamperebbero comunque alle diffidenze sociali.

L’immagine che emerge è quella di un’Europa in scarsamente propensa alla solidarietà, disorganizzata, che non riesce ad assumersi responsabilità per affrontare insieme il problema, poiché ogni Stato scarica la colpa sull’altro e pensa ai propri interessi, isolando e abbandonando i Paesi che invece cercano di accogliere. In questa confusione e nella frammentazione dell’Unione, si può analizzare anche la mentalità chiusa di molte, fin troppe, persone che sono mosse da sentimenti di razzismo e generalizzano.

Sarebbe bello poter vivere in un mondo volto al cosmopolitismo, dove ognuno, con le proprie tradizioni e cultura, fosse cittadino del mondo, senza problemi di frontiere da superare, in senso figurato a livello sociale, ma anche letterale a livello fisico di confini politici degli Stati.

Tuttavia ciò resta solo un’utopia, ed in quanto tale irrealizzabile.

Nella realtà non si fa altro che costruire muri e barriere, di diverso genere, ma con lo stesso principio. Accade all’interno della stessa Europa, nel momento in cui più di tutti dovrebbe essere unita, essa si perde litigando e accusando l’altro di non fare abbastanza, cercando scuse o rifiutandosi categoricamente di fare qualcosa di concreto.

C’è una generale, e, a mio parere, ai limiti dell’ignoranza, concezione del “noi occidentali” e “loro islamici”, non accettando le diversità di cultura o pensiero, erigendo muri tra ciò che si conosce e ciò che appare diverso, come se qualcuno fosse superiore o inferiore rispetto all’altro, come se non fossimo tutti nella stessa barca: di fronte ad una guerra.

Mentre gli Stati dell’Unione battibeccano tra loro per decidere dove, come, tra chi, smistare i migranti (senza nemmeno arrivare ad una soluzione poiché non è a parole o accuse che si risolvono i problemi bensì con i fatti, i quali però se presenti sono confusi e distaccati in quanto ognuno fa qualcosa per conto suo, senza un vero o concreto accordo con gli altri Paesi che renda più funzionale ed efficace il piano di procedura), si perde di vista il problema di principio. Prima di chiederci come dividere le migliaia di rifugiati tra gli Stati d’arrivo, domandiamoci piuttosto perché queste persone migrano.

La risposta è la guerra. Fuggono perché a causa di essa nei loro Paesi non riescono a raggiungere la felicità, la sicurezza, di cui ogni essere umano ha diritto. Non sanno se sopravvivranno, e se anche fosse, non so quanto di possa definire vita un’esistenza condotta nella paura o nella sofferenza di perdere chi si ama o della tortura.

Sarebbe forse più giusto quindi che l’Europa, tutta l’Europa (e non soltanto), concentrasse i suoi sforzi al fine di risolvere i problemi direttamente nei Paesi in guerra, piuttosto che trovarsi debolmente frammentata al suo interno ed imbottigliata in questa situazione.

Risolvere i problemi lì sarebbe il processo più giusto e naturale, perché ponendosi di fronte alla realtà, non è neanche economicamente sostenibile, per le nazioni, procedere come si sta facendo, cioè cercando di allentare temporaneamente la situazione, ma senza cercare una soluzione definitiva, anche perché il numero degli immigrati cresce ogni giorno.

Concettualmente l’Europa in questo momento non è diversa da una squadra di pallavolo in cui i giocatori sono in campo ed ognuno esegue il suo compito in modo isolato, senza curarsi delle difficoltà del compagno o addirittura accusandolo, senza una strategia di gruppo, senza dialogo né unione. Una squadra così può essere solo destinata al fallimento e alla sconfitta.

Perciò occorre che gli Stati dell’Unione non chiudano le frontiere, perché in tal modo essi si isolano, indifferenti agli altri Paesi, nonché ai migranti speranzosi, quando invece dovrebbero collaborare e, con una unica manovra politica-economica, unendo tutte le forze, fare qualcosa, qualsiasi cosa, poiché essa sarebbe comunque più grande delle piccole iniziative portate avanti singolarmente, autonomamente, da un ridotto numero di Stati.

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